Del perché ho scritto di nativi americani (il cui Natale è già passato) n.2

Ero piccola, avrò avuto all'incirca 12 anni, quando studiai per la prima volta la storia dei nativi americani. Certo, alle scuole elementari si parla della scoperta dell'America, di Cristoforo Colombo, molto meno di Amerigo Vespucci, ma tutto ciò che accadde davvero in quelle terre, dal 1492 in poi, è perlopiù avvolto dal mistero e dall'omertà.
Perché? Forse perché questa è una storia iniziata e mai davvero conclusa. A chi farebbe piacere sapere che si chiudono gli occhi davanti a una vera e propria ingiustizia?

Ricordo che rimasi attonita nello scoprire che intere popolazioni erano state distrutte, annientate, per far posto a chi in loro vedeva semplicemente un ostacolo al proprio benessere.
Una brutta cosa, no? Qualcosa che ora, qui, sarebbe impensabile.
Dovrebbe esserlo. La realtà è ben diversa, benché se ne parli davvero troppo poco, ed è forse stata questa la prima spinta che ha mosso le mie mani sulla tastiera.
Parlare di Aquene e di sua madre, così forti da vivere fuori la riserva, e parlare di Cha'Tima che, al contrario, continua a vivere in quelle terre sacre preservando la memoria dei suoi antenati, è stato importante per me. E inevitabile. Perché è vero quando dico che i personaggi sono venuti a parlarmi.

Un'altra ragione fondamentale che mi ha convinta a scrivere la storia di Cole e Aquene, di Samuel e Ayleen, è stato il conoscere una cultura così profondamente differente da quella occidentale, eppure ricca per saggezza e amore per il mondo che ci circonda. Aspetto, questo, che specialmente negli ultimi periodi dovrebbe riguardare tutti noi, non soltanto quella che siamo costretti a chiamare "minoranza". D'altronde, non è la terra che ci ha permesso di calpestarla? Perché trattarla male, se è grazie a lei che viviamo?

La storia dei nativi è lunga, lunghissima, e come Cha'Tima insegna, per raccontarla ci vogliono tantissime chiacchiere intorno a un fuoco e litri e litri di succo di melone. E buona compagna.

Oggi, dal momento che siamo nell'antivigilia e che, per causa di forze maggiori, avremo ben poco tempo per vederci nei prossimi giorni, vorrei parlarvi di un Natale diverso dal nostro, festeggiato solo pochi giorni fa.
Il 21 dicembre, durante il solstizio dì'inverno.

È in questo giorno magico che i Nativi rendono omaggio ai loro antenati, si scambiano auspici e raccontano leggende.
Le usanze variano di comunità in comunità, ma la base è sempre la stessa. Si onorano gli alberi sempreverde, per esempio (attorno cui ruota una leggenda bellissima), si canta al sole e alla luna (per rivolgersi agli antenati che dal cielo osservano e proteggono), si rende omaggio alla Madre Terra.
La celebrazione del solstizio ha radici antichissime, tramandate anno dopo anno, secolo dopo secolo.

A questo punto sorge spontanea una domanda: chissà il professor Takoda Patterson come ha festeggiato? E la signorina Freshman era con lui?
Secondo me sì, ma lui mi ha pregata di "farmi gli affaracci miei (ha ragione Cha'Tima quando dice che è davvero un orso!)
E voi? Come festeggerete il vostro Natale, oltre a riempire la pancia?

P.S. Ringrazio RSI News per le preziose informazioni riguardanti il Natale dei Nativi. Se avete voglia di ascoltare un canto e la leggenda dell'albero di cui vi parlavo poco fa, cliccate qui sotto ;)
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Photo by Teddy Kelley on Unsplash


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