Un sogno meraviglioso #3

Sinossi:
Margherita è una bambina di nove anni, dalla vita frenetica e tutti i pomeriggi impegnati dalle mille attività scelte per lei da sua madre. Ha un sogno nel cassetto, che però ha ben poco tempo per coccolare o seguire. Anzi, a dirla tutta non sa neanche bene quale sia. Presa com’è dalla danza, dalla scuola, dal corso di fotografia e addirittura quello di pittura, Margherita non riesce a coltivare il desiderio di studiare lo Spazio e le leggi che lo animano: pianeti, costellazioni e… vita intelligente tra le stelle!
Finché, durante una lezione di equitazione in groppa a Teodoro, non si imbatte in una strana farfalla di cristallo. È luminosa, sgargiante, e fa talmente tanta luce che il cavallo si imbizzarrisce e Margherita cade. E inizia a sognare… oppure quella che vive è la realtà? Sogno Meraviglioso e Dubbio Atroce sembrano verissimi: uno ha gli occhi viola come Nettuno, le lentiggini rosse come Marte e un sorriso abbagliante come i raggi del sole, e l’altro… è vorticoso e infinito come solo una stella esplosa potrebbe sembrare nel bel mezzo dell’universo.
Insieme a loro, Margherita scoprirà quanta forza ci vuole per inseguire ciò che si desidera, ma anche quanto amore sia necessario donare per fare in modo che la felicità degli altri sia anche la propria.
Per sognare e realizzare ciò che si ha nel cuore ci vuole coraggio, fantasia e un sorriso sulle labbra, ma anche e soprattutto degli amici con cui condividere ogni cosa: le gioie, ma anche le delusioni.
Capitolo 3

Al galoppo, Teodoro!

C’erano due cose che a Margherita piacevano del lunedì. La prima era il poter finalmente salire in groppa a Teodoro dopo un’intera settimana. La seconda era che a portarla a equitazione era suo padre.
Il lunedì era il suo giorno di riposo!
Quel pomeriggio, uscita da scuola, trovò il sorriso e la strizzatina d’occhio che tanto adorava, e quando giunse davanti a lui, suo padre le mise davanti una mano chiusa a pugno sulla quale si abbatté il palmo di Margherita: quello era il loro saluto segreto segretissimo. Ok, non era tutta questa gran cosa, ma pensare lo condividessero solo loro faceva stare bene entrambi.
«Allora, tutto bene a scuola? Pronta per andare da Teodoro? C’era qualche verifica? Hai detto alla maestra che quella bla bla bla…»
Se c’era una cosa che metteva in comune i suoi genitori, era il fatto che quando si trattava di loro figlia perdevano tutti e due di vista le priorità, come il respirare tra una domanda e l’altra.
A un tratto, lungo il tragitto, per radio diedero uno delle canzoni che lei adorava di più in assoluto, tanto che iniziò a saltellare sul sedile. Era di un vecchio gruppo rock che ascoltava sempre suo nonno e, dato che parlava di spazio, rocce volanti e stelle lontane, lei la adorava. E poi quella batteria, quella chitarra elettrica… le entravano dentro spingendola a ridere di contentezza.
«Alza!» urlò, sporgendosi in avanti. La cintura la riportò prontamente al sedile come fosse stata un elastico, ma Margherita prese ad agitare la mano finché suo padre non alzò il volume.
«Non ho mai visto una ragazzina della tua età andare così matta per un gruppo rock dei miei anni…» commentò suo padre, ridacchiando. «Anzi, non ho mai visto una ragazzina andare matta per un gruppo rock e basta.»
«Dici una bugia, papà, è pieno di ragazze a cui piace il rock!» lo rimbeccò Margherita tamburellando con le dita sul sedile. La testa andava a tempo di musica e la bocca si muoveva, mentre lei simulava con la fronte aggrottata gli acuti del cantante.
Margherita finse di non ascoltare suo padre mentre diceva: «Sarà come dici, ma alla tua età dovresti voler fare la principessa, o quelle cose lì…».
Perché lei non voleva fare la ragazzina svenevole che vestiva tutta di rosa (ed era per questo che non sopportava molto neanche il tutù e tutte quelle cose della danza) ma la scienziata.
Non una scienziata qualsiasi, ma di quelle che cercano vita intelligente su altre galassie. Per dirla in parole povere: voleva trovare gli alieni.
Non appena quel pensiero prese forma nella sua testa, e forse per la prima volta in maniera così completa, il prisma di qualche giorno prima tornò a brillare proprio fuori dal suo finestrino. Margherita si fermò di colpo, spalancando la bocca aperta. Sembrava ci fosse una sorta di… farfalla luminosa che seguiva la loro macchina, e alla stessa velocità!
Margherita aveva quasi paura ad avvicinarsi al vetro, ma lo fece. Sì, perché osservare la luce del sole che irradiava colori di ogni tipo su quel cristallo volante era ipnotizzante. E tutto l’alone che avvolgeva quella… cosa? Era bellissimo e inquietante insieme.
E se fosse stato un… alieno? Possibile? Così, di giorno, sotto gli occhi di tutti?
«P-papà…» sussurrò, ma il volume della radio era così alto che Margherita faceva addirittura fatica a sentire la propria voce. «Papà» riprovò gracchiante, andando a picchiettare con la mano sulla spalla del genitore.
«Sì, tesoro?» le chiese lui, azzerando il grido acuto della chitarra elettrica su un assolo pazzesco. «Hai detto qualcosa?»
«Vedi… vedi anche tu quello…»
Nel momento in cui Margherita pronunciò l’ultima parola, però, la farfalla luccicante svanì.
Margherita strabuzzò gli occhi, perplessa, poi li stropicciò con le mani e tornò a guardare fuori dal finestrino.
Nulla.  
Per la seconda volta in una settimana, Margherita si chiese se avesse visto davvero qualcosa.


Strigliare Teodoro prima di salire in sella era rilassante e allo stesso tempo bellissimo, perché Margherita sentiva di riuscire quasi a parlare col suo cavallo. Mentre passava la spazzola sulla criniera dell’animale, si voltò verso suo padre.
«Papà, verrai a vedere l’esibizione di sabato prossimo?» gli domandò, speranzosa.
 «Non lo so, Margy, bisogna vedere se riesco a liberarmi per tempo. Ma mamma farà un video e…»
«Ma non sarà la stessa cosa!» sbuffò lei. «Fai sempre tardi al lavoro, quindi per una volta…»
«Hai ragione, tesoro, ma se non lavorassi così tanto tu non potresti fare tutte le attività che ti piacciono.»
Margherita aprì d’istinto la bocca per replicare che… non era vero?
Non è vero?, si chiese, e sigillò le labbra, pensierosa. Non lo era. Perché non era poi così vero che a lei piaceva tutto ciò che faceva, no? Non era vero che le andava di fare tutto quello che ci si aspettava facesse. Nossignore. Era costretta.
Era costretta!
Ah, com’era liberatorio anche solo pensarlo! Sì, si sentiva anche in colpa, ma cavoli: a lei non piacevano un sacco di cose di quelle che svolgeva tutti i pomeriggi.
Aprì di nuovo la bocca, pronta a confidare a suo padre quella grande verità, quando il suo istruttore la chiamò per uscire dai box con Teodoro al seguito, le redini ben strette tra le dita.
Dopo le solite raccomandazioni, Margherita balzò in sella e iniziò il piccolo trotto.
L’aria che fendeva delicatamente le guance e muoveva alcuni riccioli sotto il cap parve cullare i pensieri che, assumendo il suo stesso ritmo, presero a seguire strani percorsi, viaggiando su strade lastricate di pulsar e supernove, di pianeti e giganti gassosi.
Ah, Margherita già si vedeva con un camice addosso e un telescopio davanti, mentre gridava a qualcuno dei suoi fidi assistenti che lei, una ragazza, aveva finalmente scoperto una forma di vita intelligente su una galassia ancora inesplorata.
Presa dal suo film a occhi aperti, sollevò una mano e si sporse in avanti, pronta ad afferrare uno dei pianeti che la sua fantasia aveva materializzato, e fu allora che sbucò dal nulla la strana farfalla di cristallo di poco prima. Margherita, sbalordita, la vide svolazzare davanti al muso del suo cavallo, ma prima che potesse rendersi conto del pericolo che stava correndo Teodoro stava già nitrendo, folle di paura.
«No, Teodoro, no!»
Il cavallo scalciava, impennandosi sul posto, mentre Margherita, terrorizzata, cercava di tenersi in equilibrio sulla sella, le mani aggrappate a qualsiasi cosa potesse acciuffare con le dita sulla criniera del suo amico.
«Margherita, attenta!»
«Ci ha visti! Hai sentito, Dubbio? Ci ha visti!»
«Ma no che non ci ha visti… e comunque adesso cade.»
«Dici?»
«Sì, sì, cade. Dammi retta, Cinque… quattro…»
Chi… chi stava parlando? Chi stava…
Margherita voltò di scatto la testa alla ricerca di quelle voci estranee che sembravano addirittura parlarle nella testa, ma poi Teodoro diede un ultimo calcio in aria e lei si ritrovò a volare senza alcun sostegno.
«Due…»
E cadde a faccia in giù sull’erba, con Teodoro che galoppava ormai lontano.
«Uno. Te l’avevo detto…»

Commenti

Post più popolari