Un sogno meraviglioso #2
Capitolo 2
A caccia di luccicanti scie
Quel giorno
Margherita si sentiva inquieta. Un po’ perché fare pianoforte non le piaceva (era
un vero disastro, in realtà) un po’ perché aveva sbagliato la verifica di
italiano e un po’ perché sua madre stava progettando qualcosa. Era chiaro, lo
vedeva da come si mordicchiava le labbra, sovrappensiero. E poi stringeva il
volante così forte che sembrava quasi potesse sfuggirle da sotto ai palmi in un
battito di ciglia.
«Mamma,
ascolta… non è che oggi potrei saltare le lezioni di pian…»
«Sai quella
tua amica… Claudette?» la interruppe sua madre, guardandola dallo specchietto.
Margherita, aggrottando la fronte, la osservò perplessa. «Ma sì, quella con i
capelli biondi, che porta sempre le trecce…»
«Sharon…»
«Sì, lei!
Brava, tesoro. Sai, sua madre mi ha detto che domenica andranno a fare una gita
fuori porta. Pensavo che potremmo farlo anche noi.»
Oh, no!
«Uhm…»
tergiversò, per niente raggiante all’idea. «Ho sentito le previsioni per la settimana,
e pare che domen…»
«Pensavo che
potremmo andare in una di quelle fattorie didattiche di cui si parla tanto. Sai,
quelle in cui mungi le vacche, saluti i coniglietti, dai da mangiare alle
bestie.»
Sua madre
non la ascoltava nemmeno, così Margherita si strinse nelle spalle e guardò
fuori dal finestrino.
«La madre di
Claudette…»
«Sharon.»
«Sì, lei, mi
diceva che ce n’è una, poco fuori città. Loro ci sono andati la settimana
scorsa e sembra che la tua amica si sia divertita tantissimo. Devo parlarne con
tuo padre, prima che compri il biglietto dello stadio o magari si metta in
testa di sentire qualche amico. La domenica va passata in famiglia, i bambini
devono respirare aria pura, sana, andare fuori città, e non respirare lo smog.
E poi mangiare cibo nutriente, muoversi, fare nuove esperienze, divertirsi,
essere attivi, bla bla bla…»
Margherita,
annoiata, decise di annuire, fare finta di ascoltare quell’interminabile
sproloquio di bla e ble e osservare la strada e i passanti. Ah, certo, era
noioso anche quello.
Conosceva a
memoria ogni angolo, ogni sasso, ogni albero.
D’altronde ogni
venerdì, puntuali come orologi della Foresta Nera, lei e sua madre percorrevano
quel tragitto fino alla scuola di musica.
Pianoforte:
il suo incubo.
Non che non
le piacesse il suono, sia chiaro, anzi lo adorava. Così come amava la musica in
generale. Ma in generale non significava che andasse matta per quella robaccia
che le facevano suonare, lenta e noiosa. E poi lei proprio non riusciva a far
funzionare le mani come avrebbe voluto il suo maestro. Le scale erano
complicate e a lei sarebbero servite delle dita lunghe almeno il doppio.
Per non
parlare delle gambe, che a stento arrivavano ai pedali.
Già, be’,
non era proprio una spilungona… per la verità era proprio bassina, tanto che un
amico di suo padre la chiamava sempre “puffetta”. Suo nonno, di gran lunga più
simpatico, l’aveva sempre definita una bambolina, ma non come quelle che se ne
stanno lì a farsi fare i boccoli. No, diceva che lei era più simile a quelle
che tutt’a un tratto parlavano, facendoti prendere un colpo se non ci stavi
attento.
Aveva
personalità, diceva suo nonno, e a Margherita questa cosa era sempre piaciuta.
Un po’ come
il suo cavallo Teodoro...
Ecco, quella
era l’unica, tra le attività che sua madre la costringeva a fare, che non le
pesava affatto. L’equitazione, per lei, era come prendere finalmente una
boccata d’aria fresca, viaggiare galoppando sulle ali scure di quel destriero
buono e docile, ma fiero e nobile.
Teodoro, il
suo amore tutto criniera e nitriti.
«Arrivate!»
trillò sua madre, balzando giù dall’auto come una gazzella, e a Margherita non
rimase che seguirla, il broncio dipinto in faccia. Mentre apriva la portiera,
però, uno strano scintillio le balenò davanti agli occhi. Aggrottò la fronte,
poi si stropiccio il viso con le nocche. Lo scintillio era ancora là. Sembrava
che fosse una farfalla, ma fatta di vetro. Anzi, di cristallo.
«Un prisma…»
sussurrò.
«Cosa dici,
tesoro? Dai, che stiamo facendo tardi» la sollecitò sua madre, strattonandola
quel tanto che bastava per farla spostare di lì.
Lo
scintillio scomparve all’improvviso. Un attimo prima c’era, quello dopo non c’era
più; Margherita si chiese se lo avesse visto davvero o se fosse stato frutto
della sua fantasia.
«Tesoro? Sei
sulle nuvole oggi, che hai? Ti senti male? Stai covando l’influenza? Stasera a
casa ti do un po’ di quei semini che mi ha consigliato la madre di Annuccia,
ok? Così vedrai che non perderai neanche un’ora di lezione. Nossignore.»
«Menomale…»
sospirò Margherita alzando gli occhi al cielo, poi non le restò che trascinare
i piedi lungo il viale lastricato e seguire la madre.
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Disegno di Simone |
Quella sera,
Margherita faticò a prendere sonno. Continuava a ripensare a quello strano
scintillio. Era convinta si fosse trattato di un fenomeno naturale, ma non
sapeva proprio come si chiamasse. Purtroppo non aveva avuto né il tempo di
controllare su internet, né l’opportunità di leggere su l’enciclopedia
scientifica di suo nonno.
Sospirò per
l’ennesima volta, girandosi su un fianco, e si impose di dormire. Il giorno
seguente non ci sarebbe stata scuola, ma sua madre aveva organizzato un brunch,
o un lunch (non ricordava mai la differenza tra le due cose) con delle sue
amiche. Le madri di Gurleen e Sonia. Al pensiero lo stomaco le si accartocciò.
Non le sopportava, quelle due: erano così smorfiose, con i loro vestiti chiari
e sempre perfetti…e poi non facevano che parlare dei personaggi della tv che
andavano di moda, mentre lei guardava ancora i cartoni animati. E lo avrebbe
fatto per sempre, poco ma sicuro.
Per fortuna
tra loro ci sarebbe stato anche Andrea. Perlomeno, con lui avrebbe potuto
parlare dell’ultima caccia ai pokemon.
«Tesoro,
dormi?» le chiese sua madre, facendo capolino.
«Quasi»
sbadigliò Margherita.
«Brava, così
per domani sarai riposata. Vedrai che ci divertiremo. Ci svegliamo presto, con
l’aria frizzante del mattino, e dopo aver fatto un po’ di spesa prendiamo due
succhi d’arancia al bar e andiamo al parco con le tue amichette, ok?»
«Ok»
borbottò. «Senti, mamma…»
«Sì,
tesoro?»
«Non mi
piace pianoforte» confessò. «Ci ho provato, davvero, però…»
«Oh, amore,
ma non devi preoccuparti così… va bene. Se non vuoi più andarci va bene» le
assicurò sua madre, accarezzandole una guancia. Margherita, illuminandosi,
sorrise raggiante. Non era stato per niente difficile… perché non glielo aveva
detto prima?
«Oh, mamma,
io…»
«Stavo
pensando che potresti iniziare quel corso di teatro che mi ha segnalato la madre
di Roberto, eh? Che ne dici?»
«Ah… io…»
«Ma non
pensiamoci adesso, ok? Ne riparleremo domani. Adesso, sotto le coperte e sogni
d’oro!»
Margherita
rimase da sola al buio, il broncio sulle labbra. Uffa. Aveva sperato di poter
lasciare pianoforte e potersi dedicare a quello che le piaceva, una volta
tanto. Magari leggere quel libro sulle stelle, o quello sui vulcani... oppure
quello che parlava di civiltà extraterrestri nelle altre galassie. Roba per
ragazzi grandi, ma forte!
Fu così che
si addormentò, sognando alieni e stelle, col sorriso sulle labbra e
un’espressione beata.
Prima di
piombare in un sonno profondo, tuttavia, le sembrò di intravedere ancora un
debole scintillio che sfarfallava tra le ombre della sua stanza. Uno scintillio
che poi si innalzò in volo oltre la finestra, confondendosi tra le stele nel
cielo buio.
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