Un San Valentino azzurro e rosso a Everseen

Un sospiro.
Due sospiri.
Cole si leccò le labbra e si specchiò per l'ennesima volta nella finestra. Non che non avesse un vero e proprio specchio in casa, ma guardare la sua immagine in maniera così sfocata lo faceva sentire più al sicuro. Forse perché non vedeva le sue lentiggini. Forse perché il rosso dei suoi capelli non era così squillante. Forse perché, semplicemente, si vedeva e non si vedeva, e tanto bastava per respirare un'ultima volta.
Che poi, perché si sentiva così agitato? In fondo, quello era un giorno come un altro. Il 14 febbraio... e allora? Non lo aveva mica scritto qualcuno che bisognava voler bene per forza a chissà chi, in quella data. Non lo aveva mica stabilito nessuno di regalare qualcosa alla persona che faceva battere il cuore a un'altra in maniera anomala, pazza, forsennata, scalpitante. Come faceva il suo in quel momento.
Era un caso. Solo un caso, se appena sveglio gli era sfrecciata davanti agli occhi l'immagine di Aquene. Era un caso, solo un caso, se scendendo lungo le scale si era ricordato di ciò che aveva acquistato il giorno prima all'emporio e la vergogna era tornata ad assalirlo proprio come nel momento in cui era andato alla cassa e aveva pagato... quella cosa. Gli occhi della signora Cavenag erano stati fin troppo maliziosi, con quel sorrisetto sulle labbra che screziava di sospetto le sue guance rugose.
Era un caso, solo un caso, se ancora adesso cercava di normalizzare il battito martellante nel petto, pregando di non sudare freddo proprio davanti alla sua amica. E poi, se non fosse bastato il caso, ci avrebbe pensato Gertrude che, sbucando in cucina all'improvviso, gli aveva fatto prendere un mezzo colpo tra il cappuccino e la brioche!
Inspirò un'altra volta, poi diede una pacca alla tasca della camicia e girò sui talloni. I calzini scivolosi sul parquet, Cole uscì dalla sua stanza. Scese i gradini. Arrivò alla porta.
«Ragazzino!»
Tana. Mannaggia!
«S-sì, nonna?» tentennò lui, la mano già sulla maniglia. Ascoltò i passi ticchettanti di Gertrude avvicinarsi sempre di più, una sorta di suono inquisitorio che riusciva a scuoterlo fin dentro le ossa. Possibile che tutto, in quella donna, esclamasse? Dallo sguardo ai capelli, dalle scarpe ai gesti, sua nonna riusciva a infondergli una sensazione di disagio crescente a ogni respiro. Era un talento, il suo, c'era da riconoscerlo. Un talento inutile e pessimo, ma pur sempre un talento.
«Cos'è questo profumo che sento? Ti sei svuotato la colonia di tuo padre in testa, per caso?» lo apostrofò Gertrude, artigliandogli una spalla per "invitarlo gentilmente" a voltarsi. Si guardarono.
«Ne avrò messe due gocce...»
«Sciocchezze, lasci la scia» sibilò l'altra, assottigliando lo sguardo. «E questi capelli? Ci hai messo sopra una di quelle poltiglie a buon mercato che vendono all'emporio?» continuò.
«I-io...»
Ma perché quella donna non faceva altro che tenere puntata l'attenzione su di lui ogni giorno, ogni ora, ogni secondo?
«Se proprio non vuoi raparli a zero, almeno lasciali stare. Così sei ridicolo» tagliò corto Gertrude, infilando e scuotendo una mano tra i suoi ricci. Cole chiuse gli occhi, le lacrime già in gola. Non osava neanche immaginare lo scempio sulla sua testa!
Aprì la bocca per parlare, ma non uscì neanche un suono. E comunque non avrebbe avuto il tempo di proseguire, dato che Gertrude stava continuando a sibilare. Tutto, in lei, sibilava. Come sempre.
«Spero per te che tu non abbia voluto comprare qualcosa a quella ragazzina indiana...»
«Non è indiana!» sbottò Cole, ritrovando la voce. In un attimo, la rabbia gli era esplosa direttamente dal petto.
«Ah, allora parli. Pensavo che qualcuno ti avesse reciso le corde vocali, stanotte.»
Cole alzò lo sguardo e incontrò il rosa scintillante degli occhiali di sua nonna. A che gioco stava giocando?
«Muoviti, stai facendo tardi a scuola.»
Cole scosse la testa, confuso, poi sbatté le palpebre e osservò Gertrude, le mani sui fianchi e le sopracciglia arcuate in un'espressione severa.
«Oggi non ci sarò, non disturbarti a tornare per pranzo. Ho da fare alla riserva» disse ancora la megera.
«N... vuoi dire che non mi costringerai a mangiare con te una delle tue schifezze verdi?»
«Attento a come parli, ragazzino, ché ci metto un attimo a ripensarci.»
Cole soppesò lo sguardo di sua nonna e capì di dover approfittare di quell'insperata falla nel suo sistema di sorveglianza.
Senza dire un'altra parola, tornò a voltarsi e aprì la porta. Aquene, appoggiata allo steccato intorno a casa sua, lo stava aspettando, le braccia conserte e la faccia rivolta al cielo terso.
Cole deglutì. Il cuore gli stava esplodendo nel petto, cavoli!
«Se scopro che sei andato al cimitero con quella selvaggia per festeggiare chissà quale rito vodoo, signorino, stai pur certo che escogiterò settimane e settimane di pulizie extra. Siamo intesi?»
Ma certo! Il cimitero... quale luogo migliore per dare ad Aquene il suo regalo? No, non regalo... pensiero. No, non pensiero... una cosa acquistata per caso pensando per un microsecondo a quegli occhi scuri come una pietra in fondo a un pozzo e...
«Se scopro che le hai dato un bacio ti chiudo in camera fino alla fine dei tuoi giorni» sibilò ancora Gertrude nel suo orecchio, e lo sgomento indusse Cole a balzare indietro in maniera repentina. Finì per atterrare col sedere sul portico di casa.
«Cole!»
Aquene... aveva visto tutto! Aveva anche sentito ciò che quella megera di sua nonna aveva blaterato?
Un bacio? Un bacio ad Aquene?
Ma era impazzita?
«Cole...»
Alzò lo sguardo e si ritrovò faccia a faccia con la sua amica. La mano protesa per aiutarlo a rialzarsi, Aquene lo fissava con una strana espressione sul viso.
Poi entrambi scoppiarono a ridere e, quando la porta di casa sbatté violentemente contro lo stipite, con Gertrude che blaterava di "giovani sconsiderati che non si rendevano conto dell'importanza delle regole", risero ancora più forte.
Ancora ridendo, Cole si rialzò e seguì Aquene in strada. Si incamminarono verso scuola.
«Senti... ti va di andare al cimitero a giocare, dopo che tua nonna ti avrà tolto la palla dal piede come i galeotti?» domandò Aquene, sghignazzando.
«Oggi non ci sarà, andrà alla riserva» rispose Cole, guardando una nuvola gonfia e spumosa che viaggiava a velocità sostenuta nel cielo. «Chissà che ci va a fare tutti i giorni da tuo zio...»
«Quindi non devi tornare a casa per pranzo?» incalzò Aquene, che sembrava del tutto insensibile ai movimenti di Cha'Tima e sua nonna. Anzi, adesso che si voltava a guardarla, Cole notava le sue mani strette intorno alle cinghie dello zaino e le labbra incuneate tra le labbra.
«No... Gertrude ha detto di non disturbarmi a tornare...»
«Quindi... vieni da me? Mamma ha detto che ci saranno le ali di pollo.»
«Buone!» esclamò Cole, l'acquolina in bocca solo al pensiero. Sapeva che ci avrebbe pensato per tutta la mattinata, adesso!
Silenzio.
«Allora... vieni?» insistette Aquene. Sembrava nervosa, a disagio... come lo era stato lui pochi minuti prima. Prima che Gertrude lo distraesse.
Era impossibile che quella vegliarda lo avesse fatto di proposito. Cole scosse la testa, sorridendo delle proprie idee. Gertrude non conosceva la parola "empatia".
«Sì, ci vengo» annuì. Poi inspirò. Non era un buon momento, quello? «... Aquene?»
Si fermarono entrambi sul limitare del bosco di agrifogli, ognuno con gli occhi che puntavano in direzioni diverse. Oh, lui voleva guardarla in faccia, ma proprio non ci riusciva!
«Io... ieri ero in giro per la città e... insomma...» Cole tirò fuori un pacchetto di carta argentata, con tanto di fiocco sulla sommità stropicciata, e lo guardò prima di tenderlo all'amica. Si sentì arrossire fino alla punta dei capelli, che già erano arancio squillante di loro.
«Tieni» disse. Deglutì quando Aquene afferrò il pacchetto dalle sue mani tremanti. «Dici sempre che il cerchietto non basta, che i capelli ti vanno sempre a finire in bocca quando giochiamo...»
«Oh!» Aquene scartò il regalo e afferrò un grande elastico colorato, con fili di perline azzurre e rosse che scendevano di lato. «È... bellissimo.»
Restarono fermi, immobili, per qualche secondo, poi Aquene raccolse i capelli e li avvolse con l'elastico appena ricevuto.
Nessuno dei due parlò più e dopo qualche altro attimo di imbarazzo, di sguardi titubanti e sorrisi abbozzati, si voltarono e inoltrarono nel bosco.
Mano nella mano.
Photo by Annie Spratt on Unsplash




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